VIOLENZA PRIVATA – Art. 610 C.P.
La violenza privata si configura quando “chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa” (art. 610 c.p.).
Nozione e caratteri generali
Il reato in esame costituisce una figura di reato sussidiario, in quanto un fatto sarà punibile a tale titolo solo se non sia specificamente previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante da un altro reato (De Gregorio).
Il bene giuridico tutelato è la libertà morale intesa come facoltà di determinarsi in maniera spontanea, in base a processi di motivazione autonomi (Messina – Spinnato). Osserva la giurisprudenza che il delitto di violenza privata tende a garantire la libertà psichica dell’individuo, realizzandosi quando l’agente, con il suo comportamento violento e intimidatorio, eserciti una coartazione, diretta o indiretta, sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, in modo da costringerlo a una certa azione, tolleranza od omissione.
Come si è visto, presupposto del reato di violenza privata è che il fatto di violenza o minaccia non sia specificamente previsto come reato o aggravante di reato da un’altra disposizione di legge. In quest’ultima ipotesi, il titolo speciale di violenza privata sarebbe assorbito senza riguardo per la sua maggiore o minore gravità (Cass. Pen., sentenza 7.04.1986, n. 2664).
La condotta incriminata è a forma vincolata e consiste, come detto, nella violenza o minaccia che abbiano effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una determinata cosa. Si osserva in dottrina che il concetto di violenza non può essere circoscritto al solo impiego di energia fisica che venga esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento contro una persona, ma deve necessariamente comprendere l’uso di qualunque mezzo, ad eccezione della minaccia, che sia idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo (Fiandaca-Musco).
La minaccia, invece, consiste nella prospettazione di un male futuro al soggetto passivo, il cui verificarsi dipende appunto dalla volontà dell’agente e non è necessario che essa sia verbale ed esplicita, bastando un mero atteggiamento intimidatorio che sia idoneo ad eliminare o a ridurre sensibilmente la capacità di determinarsi liberamente (Trib. Palermo, sentenza 12 gennaio 2007, n. 3022).
L’elemento soggettivo è il dolo generico, quindi la coscienza e volontà di costringere altri, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa. Ai fini dell’integrazione del delitto non è necessario che la condotta dell’agente sia volta al conseguimento di un fine illecito, in quanto non occorre il concorso di un fine particolare accanto alla coscienza e volontà del dolo generico già descritto.
Il delitto di violenza privata ha natura di reato istantaneo che si consuma nel momento in cui l’altrui volontà sia rimasta di fatto costretta a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il protrarsi nel tempo dell’azione o dell’omissione o il permanere degli effetti.
Secondo la migliore dottrina, il tentativo è configurabile. La giurisprudenza osserva che il tentativo di violenza privata può essere commesso non solo nei confronti di persone determinate, ma anche nei confronti di persone sconosciute, contro le quali si diriga indiscriminatamente l’azione violenta o minatoria. Nel caso di specie si giudicava una fattispecie relativa al lancio di sassi dal cavalcavia sulla sottostante autostrada. La Cassazione ha stabilito che è indubbia l’efficacia deterrente sia del getto che del collocamento delle pietre, ancorché coloro che percorrono il tratto di strada non interrompano la marcia (Cass. Pen., sentenza 17 febbraio 1995, n. 1628)
La pena è della reclusione fino a 4 anni, aumentata fino ad un terzo se ricorre una delle aggravanti di cui all’articolo 339 c.p.
Il reato è procedibile d’ufficio e la competenza è del Tribunale in composizione monocratica.
Il fermo non è consentito, mentre è facoltativo l’arresto in flagranza. Sono applicabili le misure cautelari personali.